A poche settimane dalla partenza del nuovo corso, vogliamo esplorare insieme la tematica del Purpose e la sua importanza per i brand.
Data
07 aprile 2021
A poche settimane dalla partenza del nuovo corso, vogliamo esplorare insieme la tematica del Purpose e la sua importanza per i brand.
Trovare un proprio Purpose, un perchè, è utile ma non sufficiente. La sfida infatti è riuscire a metterlo in pratica. Questo, spesso, può avvenire nel lavoro e porta risultati innegabilmente positivi. Andiamo con ordine, e partiamo dagli effetti positivi.
Secondo una ricerca di McKinsey condotta durante la pandemia, se confrontiamo le persone che dicono di “avverare il proprio purpose” sul luogo di lavoro con coloro che non lo fanno, i primi riportano un livello di benessere cinque volte più alto dei secondi. Oltre a ciò, hanno quattro volte in più la possibilità di vantare livelli di ingaggio più alti. Sempre McKinsey rivela una correlazione positiva tra la pienezza di senso dei dipendenti e margini di profitto (EBITDA) dell’azienda.
Un tris fenomenale, possibile solo grazie all’incontro tra persone e imprese. Queste ultime possono cogliere l’occasione e distinguersi andando a creare una grande differenza e cercando un problema nel mondo da risolvere, cambiando significativamente il modo in cui operano per ritagliarsi un ruolo autentico e d’impatto nella società. Tutto è iniziato nel mondo dei capitali qualche anno fa, con una lettera.
"Sempre di più la società si rivolge al settore privato e chiede alle aziende di farsi carico delle sfide più grandi della società stessa. Le aspettative che il pubblico ha nei confronti di un'azienda non sono mai state tanto alte. Ogni azienda non deve solo portare risultati finanziari, ma anche mostrare come è in grado contribuire positivamente alla società. Senza purpose nessuna azienda pubblica o privata può raggiungere il proprio pieno potenziale”.
Queste parole di Larry Fink, Chairman e CEO di BlackRock*, Inc, la più grande azienda di gestione dei capitali con un asset di 7.4 trilioni di dollari, sanciscono il momento in cui il Purpose nel 2018 si affaccia prepotentemente sul mainstream grazie ad una lettera intitolata appunto “A sense of purpose”.
Secondo Joey Reiman, autore e consulente “le migliori aziende al mondo sono quelle che vogliono rendere il mondo più prospero. Hanno uno scopo più grande per il proprio business: rendere il mondo un luogo più ricco e pieno di significato da vivere. La goodness, la capacità di fare il bene è la nuova valuta. La bottom line è un mondo migliore”. Le due caratteristiche fondamentali del purpose sono l’intenzione e il contributo: “l';intenzione senza il contributo è cieca, il contributo senza l'intenzione è impotente” (Corey Keyes, Emory University)
Secondo la British Academy il Purpose può essere definito come “la profittabilità che risolve i problemi delle persone del pianeta, che non crea profitto dal creare problemi”. Senso e profitto non sono opposti, ma anzi collaborano ed è evidente che oggi le aziende, come sottolinea Deloitte, stiano usando il purpose per creare connessioni più profonde con i propri consumatori, per fare di più per le comunità per cui lavorano, per attrarre e trattenere a sé i talenti e nel farlo stanno ottenendo risultati migliori e un impatto.
Keith Weed, Chief Marketing e Communication Officer di Unilever è lapidario “un marchio senza purpose è solamente un prodotto”. Le aziende purpose-driven si fanno guidare da un purpose credibile, rilevante e pertinente. Proviamo a elencarne qualche caratteristica:
Stiamo quindi assistendo ad una rivoluzione a tutti gli effetti: cambiano drasticamente le aspettative di chi investe, di chi compra e di chi sceglie dove lavorare. Un movimento incarnato da una generazione, la Generazione P come Purpose che chiede e pretende significato. Oggi il purpose è passato dal “nice to have” al “have to be nice”. Siete pronti a far parte di questa rivoluzione?
Andrea Banfi - Coordinatore del Corso di Purpose-Driven Strategy