Data

01 luglio 2019

Joya Sfeir e Elisa Fierro, laureate in Arts Management allo IED, parlano della flessibilità nella loro formazione e nel lavoro. Il loro progetto finale per il master si è concentrato sulla tematica della paura e su come l'arte possa esprimerla.

Diplomate nel master in Arts Management, la libanese Joya Sfeir e la messicana Elisa Fierro raccontano come è stato per loro studiare in Italia e come il lavoro e la formazione siano diventati fluidi anziché statici e legati a un unico luogo, in una sorta di nomadismo contemporaneo.

Joya Sfeir, giovane architetta libanese, oltre ad avere un suo studio privato di architettura, lavora come Program Officer con Ettijahat - Independent Culture, un’istituzione culturale che promuove la cultura indipendente in Siria e nella regione. Appassionata di design e amante della natura, Joya collabora con diverse ONG e organismi istituzionali in Libano come volontaria e come consulente in varie missioni legate allo sviluppo sociale, artistico e culturale del Paese.

Elisa Fierro, nata a Città del Messico, ha 28 anni e da due vive in Italia. Lavora a progetti culturali nell’ottica di adattare l’arte alla nostra vita quotidiana e soprattutto di fare dell’arte uno strumento accessibile a tutti.

 

 

Perché hai deciso di iscriverti al master in Arts Management?

Joya: Sono arrivata a IED Firenze nel 2017 con gli strumenti di architettura acquisiti nel corso della mia esperienza formativa e lavorativa e con la convinzione che la cultura sia un linguaggio comune, che dovremmo essere responsabili di diffondere nel modo migliore possibile. Sono sempre stata affascinata dalle arti, ma soprattutto dagli ambiti che si evolvono intorno a esse.

Elisa: Sono venuta in Italia per uno scambio universitario, mi sono fermata un paio d’anni e mi sono innamorata del Paese. Quando sono ripartita mi sono ripromessa di tornare. In Messico ho lavorato per un museo e contemporaneamente ho terminato i miei studi. Dopo essermi laureata ho scoperto il master in Arts Management di IED, che mi ha colpita molto perché offriva l’opportunità di studiare in un corso che metteva insieme tutti gli strumenti necessari per capire come ci si muove nel mondo dell’arte in Italia, nell’ambito, però, di un contesto  internazionale.

 

 

Com’è stato studiare in più di una sede IED?

Joya: Quando ho scelto questo programma, la cosa che mi interessava di più era il fatto che avesse un taglio internazionale. Ho fatto richiesta di una borsa di studio IED e sono stata accettata al master, un programma che si svolge tra Firenze, Venezia e Roma. Le arti, la cultura e tutte le industrie creative hanno bisogno di un ambiente adeguato per prosperare e l’Italia è il luogo perfetto per sperimentare. In Italia anche solo girare per strada e andare al ristorante riempie di stimoli culturali e, grazie a un programma internazionale che si svolge in tre città italiane, ho avuto una tripla possibilità di incontrare artisti, curatori, professionisti della cultura e studenti provenienti da tutto il mondo e di visitare i musei più famosi, le fiere d’arte e La Biennale.

Elisa: Senza dubbio è stata un’esperienza incredibile, la sede di Firenze mi ha trasmesso cose molto diverse da quella di Roma, in ognuna di esse ho imparato lezioni differenti a proposito di come si lavora nell’ambito delle istituzioni artistiche. Ma soprattutto ho scoperto che il mondo artistico in Italia cambia da luogo a luogo, quindi unire lo studio con il fatto di adattarsi alle esigenze delle diverse città ha reso unica questa esperienza.

 

Mostra "Home Beirut", Roma 2017

Raccontaci com’è stato creare il progetto finale per il master.

Joya: Eravamo un gruppo di studenti di differenti nazionalità, tutti provenienti da ambienti diversi e di varie età. Abbiamo dovuto creare un evento artistico multidisciplinare scegliendo un tema. La domanda che era stata posta a tutti noi era dove eravamo prima di venire qui e quali sono i nostri piani per il futuro, dove potremmo andare e cosa dovremmo diventare, ed è per questo che abbiamo scelto il tema della paura, un sentimento comune, che tutti condividiamo, anche se non sempre lo esprimiamo, e l’arte potrebbe essere il mezzo giusto per farlo. Quindi abbiamo lanciato un bando per artisti, che hanno proposto progetti relativi al tema, e alcune delle opere scelte sono state presentate a Carrozzerie n.o.t., a Roma, durante un piccolo evento che si è tenuto alla fine del semestre.

Elisa: Il progetto finale a Firenze è stato una sfida, dovevamo occuparci dell’organizzazione della mostra e allo stesso tempo capire come lavorare in squadra, in un paese diverso dal nostro e con una lingua che non è la nostra, conciliando la sensibilità di ragazze con percorsi differenti, provenienti da culture diverse. Questo mix di esperienze ha dato al progetto una direzione magnifica, lo ha reso un successo. Anche se abbiamo trovato alcune difficoltà, siamo riuscite a risolverle insieme, perché c’era sempre qualcuna di noi che trovava la risposta giusta a ogni problema.

 

"Art you mine", IED Firenze, 2017

Hai un metodo per progettare o cambia in base al lavoro che devi fare?

Joya: Grazie all’esperienza multidisciplinare che ho acquisito, mi sono convinta che l’arte e la cultura siano i mezzi per costruire società e il mio obiettivo è essere un agente attivo in questo cambiamento positivo. Questo è il terreno comune a tutto il mio pensiero progettuale: cambiamento positivo e valore sociale, quindi il resto può sempre cambiare ed essere influenzato da tendenze, gusti, stati d’animo o altri fattori.

Mi sono convinta che l’arte e la cultura siano i mezzi per costruire società e il mio obiettivo è essere un agente attivo in questo cambiamento positivo

Elisa: Credo che si debba progettare avendo una visione a cui tendere, però essere aperti ai cambiamenti fa la differenza per avere successo. In ogni progetto ci sono problemi da affrontare che potrebbero cambiare un po’ la visione finale o la progettazione, quindi se si tiene la mente aperta, le difficoltà possono rappresentare un cambiamento positivo che alla fine porta al successo.

 

"Art You Mine", IED Firenze, 2017

Come interpreti il termine “nomadismo” nel tuo modo di vivere e lavorare?

Joya: I nomadi sono persone che non hanno una residenza fissa e continuano a spostarsi da un luogo all’altro. Anche se noi non viviamo in tende che montiamo e smantelliamo di continuo, sono certa di appartenere a una generazione di nomadi, di persone che hanno sì una residenza fissa a cui tornare, ma che sono costantemente alla ricerca di nuovi posti e nuovi orizzonti. Vengo da una città, Beirut, che ha visto guerre e rivoluzioni, ma che è anche un luogo di grande ricchezza culturale. Forse non ci ha portato a essere la nazione di maggior successo al mondo, ma è per questo che ci definiamo resilienti. Studiamo, viaggiamo, lavoriamo, incontriamo nuove persone, impariamo nuove lingue, sperimentiamo nuovi hobby, ogni attività che facciamo è una nuova casa, un nuovo posto a cui apparteniamo per un breve periodo o per una durata maggiore. Alcuni luoghi sono temporanei, alcuni stagionali, altri sono permanenti, altri vengono distrutti, altri ancora li distruggiamo volentieri. Credo in questo stile di vita, in tutto ciò che faccio, ma credo anche che non importa quante case io cambi, ce n’è una che dovrei sempre tenere: è quella in cui raccolgo souvenir di tutti gli altri luoghi ed è quella che mi assomiglia più. Sulla mia idea di nomadismo, ho scritto anche un articolo che si intitola “Beirut-Roma, andata e ritorno: dove ci sentiamo a Casa?”.

Elisa: Penso che non lo interpreto, lo vivo proprio. È da molto tempo che non sono fissa in nessun posto, e questo è stato in gran parte il motivo che mi ha fatto crescere come persona e professionalmente. Avere la possibilità di spostarmi, conoscere nuovi luoghi, diverse culture, molte persone, mi ha dato numerosi strumenti da adattare alla mia vita e anche al mio lavoro perché in ogni posto del mondo ci saranno sempre cose da imparare, e ancora di più nel mondo dell’arte.

 

Potrebbe interessarti anche: