Data

01 luglio 2019

Essere nomadi nel nostro tempo globale: la sfida per educare le nuove generazioni

In un momento come questo, in cui quasi tutto si trasforma, ed è sottoposto a un continuo processo di cambiamento, la metafora del viaggio è una delle più efficaci per spiegare il presente, soprattutto se ci consegniamo, come afferma Claudio Magris in Danubio (1986), all’“imprevedibilità del viaggio, l’intrico e la dispersione dei sentieri, la casualità delle soste, l’incertezza della sera, l’asimmetria di ogni percorso”, accettando la nostra condizione di viaggiatori e sperimentatori.

Il nomade deve però essere consapevole della velocità che si è imposta nella nostra quotidianità, ormai diventata il vero segno caratteristico del nostro tempo. È stata questa l’interpretazione data da correnti artistiche come il futurismo, che apprezzavano il lampo della tecnica e celebravano l’auto da corsa (All’automobile da corsa, come cantava Filippo Tommaso Marinetti, devoto al vortice impetuoso del suo movimento).

Non sorprende, dunque, che l’automobile sia stata uno degli oggetti del desiderio di molti designer. Oggi abbiamo superato la centralità dell’auto e consideriamo la mobilità come un insieme di fattori vincolati alla costruzione di città e al fatto di trascorrere la nostra vita in luoghi diversi, legata cioè alle nostre abitudini e all’interazione con l’ambiente.

Un’occasione per mettere in evidenza un ambito di progetti seducente come questo e per riflettere sull’evoluzione avvenuta negli ultimi anni ci viene offerta dai festeggiamenti per il trentesimo anniversario del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, nel cui ambito rientra un’eccellenza come quella dell’universo del transportation. Momenti come questo sono utili per fare il punto e valutare, in prospettiva, l’evoluzione della cultura del progetto nel corso degli anni. Evoluzione che non può che renderci orgogliosi, ma vale la pena anche di analizzare in modo critico la realtà in cui è avvenuta.

Al di là della fascinazione che suscita, il progresso possiede anche alcuni risvolti nascosti, come l’inquinamento ambientale, il che ci porta a riflettere incessantemente sui presupposti del nostro “fare”. Stando così le cose, per un’istituzione che si dedica all’orientamento delle nuove generazioni diventa fondamentale chiedersi qual è il significato di “educare”: esso va al di là del semplice “insegnare” e si trasforma in una disposizione civica ed etica che dovrebbe condurci verso una convivenza più armonica, portarci a immaginare il futuro a partire dall’onestà data dal fatto di svolgere un lavoro che amiamo, continuando a indagare nuovi modi per creare e nuovi modi di stare al mondo.

Perché non farlo a partire dal nomadismo? Sembra un percorso coerente, soprattutto se vogliamo allontanarci da universalismi illusori e convenzioni tradizionali, in un momento storico in cui molti sembrano più impegnati a erigere frontiere che a creare ponti che ci permettano di comunicare in modo più assiduo e collaborativo.

Circoscrivere le nostre attività a un unico luogo è in contraddizione con la globalità del nostro tempo, in cui tutto cambia senza sosta. La sfida sembra essere piuttosto quella di riuscire a dominare una realtà simultanea e instabile, in cui non esiste riparo dal mondo esterno, ma solo un’incredibile perturbazione, che può sia rivelarsi ostile sia offrire uno straordinario ventaglio di possibilità. In questo contesto, non potrebbe avere senso diventare nomadi, una volta preso atto che non esistono dimore né certezze destinate a durare per sempre?

 

 

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