Data

15 settembre 2016

La Sardegna è un esempio per l'antropologia dell'alimentazione, la ricerca sull'alimentazione dimostra la cultura di un popolo. Il turismo enogastronomico costituisce una grande opportunità per la Sardegna.

Alessandra, tu sei antropologa di formazione, ti occupi dell’uomo nelle sue diverse espressioni, come individuo o in comunità. Nella tua ricerca hai privilegiato lo studio dell’alimentazione con al centro sempre l’uomo. Quanto racconta di noi il cibo?
Il cibo racconta tutto di noi, a saperlo interpretare, come individui e come membri della collettività. Senza cibarsi è impossibile vivere ma le persone non si nutrono di tutto ciò che è realmente commestibile e disponibile nell’ambiente, ma solo di ciò che ritengono culturalmente e simbolicamente corretto, buono, degno delle loro attenzioni gastronomiche. Per citare un classico, Claude Lévi-Strauss, “il cibo deve essere anche buono da pensare”.

La tua ricerca si è concentrata territorialmente in Sardegna. Per quale motivo? Pensi che la Sardegna possa costituire un paradigma nell’ambito dell’antropologia dell’alimentazione?
La Sardegna è una delle regioni mediterranee in cui c’è più biodiversità naturale e coltivata e in cui permangono, come in strati sovrapposti, saperi, sapori e pratiche culinarie che spaziano dal periodo nuragico alla contemporaneità passando per il Medioevo, in cui ad esempio si iniziò a cucinare sa burridda cagliaritana, su pappaibiancu e sa panada, a fare le paste essiccate, come su filindeu, e l’Età moderna, con il castello di croccante simbolo di matrimonio (su gattò), e altri manufatti culturali di pregio.
Le ragioni sono molteplici e prettamente dovute all’insularità e alla sua posizione geografica: l’insularità ha preservato molte tradizioni alimentari, ma l’isola è anche stata meta di decine di popoli diversi nel corso della storia. La Sardegna è un laboratorio culturale di integrazione e meticciato da sempre, i piatti più tipici spesso hanno un’origine alloctona e sono stati “sardizzati”.
L’Isola insomma ha un patrimonio enogastronomico enorme, ricco di potenzialità spesso inespresse, una sfida meravigliosa per un antropologo culturale.

Un’altra dimensione dell’uomo contemporaneo è il turismo. E il turismo è sempre più interessato al cibo. Prodotti e piatti locali, lavorazioni tradizionali, insomma una crescente (anche se non sempre educata) attenzione alla cultura gastronomica dei territori. Quali opportunità offre una seria ricerca sull’alimentazione allo sviluppo del turismo?
Il turismo culturale ed enogastronomico in Sardegna è solo agli inizi, la parte del leone la fa ancora il turismo balneare, anche se esistono degli esempi interessanti e positivi, penso al festival Appetitosamente, al festival Scirarindi, agli eventi legati all’enoturismo come Cantine aperteCalici sotto le stelle, a certi eventi Slow Food e via discorrendo.
Si è agli inizi e si fatica a far comprendere che un certo tipo di pasta, una certa varietà di mele, un certo insaccato o una tipologia di formaggio sono formidabili attrattori e possono generare sviluppo locale, con buone idee, senza spendere grandi somme di denaro. Ho visto molti progetti faraonici sul turismo, in Sardegna e altrove, terminare dove finivano i finanziamenti pubblici. Non servono molti soldi, servono buone idee e persone che investano tempo ed energie sul territorio.

Il turismo di oggi pare molto trasformato, o meglio, moltiplicato. Penso si possa parlare di turismi e turisti con esigenze, gusti e desideri molto diversi. In questa mutata realtà di mercato come può, o forse deve, rispondere il comparto eno-gastronomico?
Correttissimo, parliamo di turismi e di turismi; in questo periodo vedo molte navi da crociera attraccate al porto di Cagliari, so che viene loro proposto uno schema di visita banale, la spiaggia, il nuraghe, il tagliere di salumi e formaggi (magari neppure sardi, ci giurerei), mentre la Sardegna è un’Isola per tutte le stagioni, le tasche e le esigenze: c’è la Sardegna giudicale medievale con i suoi monumenti, Iglesias è un gioiello ad esempio; c’è la Sardegna contemporanea con musei come il Man di Nuoro, il museo Nivola di Orani, il museo dei Giganti di Mont’e Prama di Cabras; c’è la Sardegna dello shopping, con i negozi della Marina di Cagliari; c’è la Sardegna di caseifici, cantine, panifici e pasticcerie artigianali, dove fare corsi, food experience e quanto altro…a Sassari si può fare un giro dei fainè cittadini e scoprire mille angoli di città; c’è la Sardegna del turismo attivo, con attività di cicloturismo, canoa, equitazione… e potrei continuare…

Oggi si parla molto di cibo (food design, foodies, foodporn…), così tanto da diventare un concetto sfuggente, spesso utilizzato in termini molto superficiali. Come si può approfondire un campo così ampio e complesso?
Si parla troppo di cibo, non dovrei dirlo visto che me ne occupo, ma è così. Il cibo è di moda, e perciò i discorsi sul cibo sono diventati banali e annacquati. Lo scorso anno c’era Expo e tutti si occupavano di cibo, era un incubo, leggevi che le patate (portate in Sardegna a fine Settecento, fonti storiche alla mano) erano usate sin dalla preistoria nella pecora in cappotto, in ogni sagra c’era uno show-cooking fatto da pinco pallo, eccetera.
Chi si occupa con onestà di cibo come me dal 1998 era tra l’imbarazzato, il divertito e l’arrabbiato. Per approfondire è necessario leggere molto e avere una cassetta degli attrezzi ampia e aggiornata, oltre che avere il polso della situazione, ossia fare ‘ricerca sul campo’ per noi antropologi: conoscere i prodotti, le comunità, i produttori, le problematiche attuali, le criticità e le potenzialità. Infine bisogna viaggiare il più possibile, per confrontarsi con le buone pratiche messe in campo altrove, con idee e persone, per costruire ponti con altre realtà e stringere relazioni.
La Sardegna ha un rapporto -anche formale- più stretto con alcune regioni tirreniche come Liguria, Toscana e Corsica, sono regioni mediterranee ricchissime di storia e cultura gastronomica, che potrebbero fare cose splendide insieme, purché non sia solo per consumare fondi comunitari, ma soprattutto per cambiare veramente lo stato delle cose e migliorare la vita delle comunità locali.


BIOGRAFIA – Diletta Toniolo

Diletta Toniolo ha da sempre coltivato la passione per il design che oggi insegna in corsi di storia e in laboratori di ricerca sulle tendenze contemporanee e promuove tramite l’attività giornalistica – collaborazioni tra gli altri con bOx International Trade, Domus, Bravacasa, Arketipo, Ottagono, il Mattino, Sky Alice, 24 Ore Television, Radio 24 – e la curatela di mostre ed eventi.

Dal 2001 collabora con IED come docente: ha tenuto corsi di Fenomenologia delle Arti Contemporanee, Storia del Design, Salone Experience, Interior e Product Design, oltre a diversi workshop. Da qualche anno è IED Ambassador, portando l’esperienza e la professionalità IED in giro per il mondo.

Tra le sue varie pubblicazioni: il libro Capolavori del design italiano, La storia del design italiano attraverso l’opera dei suoi progettisti, Edizioni White Star a cura di design.doc, oltre a collaborare come editor per la free press Tortona Around Design Journal durante la settimana del design milanese.

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