Data

21 novembre 2016

La relazione tra globalizzazione e complessità è uno dei temi più importanti da analizzare per innovare nel mondo della formazione. In questo breve scritto, avanzo alcune considerazioni relative il fenomeno dei sovvertimenti degli spazi territoriali e sociali che, a mio parere, sono centrali rispetto questioni d’ordine più specialistico.

Siamo ormai molto lontani da quel periodo storico in cui le società apparivano come un mosaico fatto di tessere più o meno omogenee e isolate. Più che a un mosaico siamo oggi di fronte a un collage di questioni sovrapposte, nel quale è davvero difficile orientarsi.
Da qualche decennio la coincidenza tra cultura e area geografica, tra spazi territoriali e spazi sociali, ha subito attacchi violenti che sembrano avere spazzato via la convinzione che linguaggi, pratiche culturali, espressioni simboliche, e manufatti, siano radicati in origini e luoghi geograficamente identificabili. Inoltre, conflitti etnici nei Balcani, in Indonesia e Somalia, per citarne alcuni, indicano che la coincidenza tra cultura e area geografica propria degli stati nazionali, sia più prossima all’idea di comunità immaginarie che reali.

D’altra parte, il disagio anche psicologico della recente Brexit, è uno dei tanti segnali di questa condizione che scuote le radici stesse degli stati nazionali.
Nuove forme di migrazione internazionale, nuovi sistemi di comunicazioni, nuovi flussi finanziari, nuove entità politiche costituiscono relazioni che attraversano i vecchi confini e assumono come ambito delle loro pratiche socio culturali una multipolarità territoriale. Tutto questo genera esplosioni di stili di vita diversi, evocazioni di tradizioni lontane, confronto delle diversità, sulla base di un multi-localismo che coinvolge l’intero pianeta.

Sistemi di trasporto sempre più accessibili, possibilità di movimenti e relazioni reali e virtuali di milioni di persone, spingono le stesse (molte per scappare dalle guerre e dalla fame) a raggiungere nuove patrie, alla ricerca di libertà, di studio, di scambi intellettuali. Su tutto, a confondere e amalgamare, si innesca una circolazione globale e vertiginosa di immagini, di idee, di informazioni e disinformazioni che fa apparire quasi obsoleto il modello tradizionale di “territorio e cultura”. Quest’ultimo fortemente indebolito anche dalle sempre maggiori differenze tra dominanti e subalterni, tra centri e periferie, e dalla dislocazione addirittura trans-continentale di progetti di vita di molti giovani di tutto il pianeta.

È vero che questa dimensione globale appartiene paradossalmente a chi vi è forzato dalla disperazione e a chi al contrario “guida il vapore”, ed è altrettanto vero che miliardi di persone vivono negli ambiti ristretti di un localismo che vede ridursi persino le loro possibilità di sopravvivenza.
Tuttavia le élite di tutto il pianeta, politiche e finanziarie, culturali e scientifiche, perseguono il modello della globalizzazione come modo di vita presente e futuro.
Le laceranti differenze del presente, si manifestano però in modo totalmente diverso dal passato, perché oggi non si sopporta più la divisione netta tra culture dominanti e culture subalterne, tra i centri dei poteri colonizzatori e le periferie dei colonizzati. Per questa ragione il modello dialettico lineare che ci viene dalle grandi narrazioni del passato (Illuminismo, Idealismo e Marxismo) poco ci conforta nell’interpretazione del nuovo rapporto tra identità e alterità, negli esiti futuri delle sempre più innovative tecnologie, nei nuovi processi di indigenizzazione, di de-territorializzazione e di ri-territorializzazione.
Fenomeni che si manifestano prepotentemente nelle aree metropolitane delle grandi città nelle quali vive la maggior parte della popolazione mondiale.

Gli stessi confini che i processi di globalizzazione economica vorrebbero superati, si ripropongono in funzione di argine ai flussi migratori, alle infiltrazioni terroristiche, alla paura di massa verso il diverso, e le stesse innovazioni tecnologiche che nella produzione e fruizione di massa coinvolgono interi continenti, generano nelle metropoli degli stessi, contrapposizioni tra gruppi sociali, generazionali, politici e culturali.
Gli spazi appaiono sempre meno definiti e molteplici, con tempi di radicamento sempre più irregolari e fluttuanti e con i comportamenti più svariati che si alternano e si mescolano.
In questa ottica il concetto di de-territorializzazione mostra una sua notevole dinamicità nello svincolare i processi della produzione culturale dalla loro appartenenza a un determinato spazio, e quelle che erano le loro connotazioni territoriali, divengono mobili e volatili per iscriversi sempre e comunque in un luogo altro e particolare. Questo fenomeno apparentemente contraddittorio ci dice che a ogni de-territorializzazione corrisponde in altro luogo una nuova ri-territorializzazione. Le città sperimentano i processi di globalizzazione nelle loro strutture istituzionali, nei loro stili e ritmi di vita, nelle relazioni che nascono tra i diversi gruppi (sociali, di genere, generazionali o etnici), ma restano comunque permeabili ai due fenomeni descritti, il che ci fa dire che i localismi non sono più e solo una questione che riguarda la campagna, ma riguarda anche la continua riorganizzazione urbana delle città.

In queste condizioni del tutto nuove, e avendo cambiato le antiche modalità della sua produzione, la cultura sembra non avere più confini. Tuttavia ancora si connette a quanto nel passato questo o quel luogo hanno elaborato, prodotto, diffuso e magari imposto come stile di vita (con i suoi relativi valori di riferimento) piuttosto che alle loro specifiche organizzazioni sociali e politiche.
Ma nuovi luoghi transnazionali de-territorializzati confliggono e si sovrappongono tra loro per fornire all’intera umanità quegli occhiali attraverso i quali guardare le diverse dimensioni culturali (come insieme di sistemi di significati socialmente organizzati ed espressi in forme definite) per accettarle e condividerle come parte della percezione del proprio gruppo.
I confini della colonizzazione continuano a essere territoriali ed economici, ma sono continuamente sovvertiti e resi dinamici dalla produzione di un immaginario contaminante, molto simile all’orientalismo esotico dei primi decenni del secolo scorso, che si avvale di forme di comunicazione sempre più veloci e mobili.

Ecco allora le Wired Identity vissute nel traffico transnazionale di narrazioni e immagini, ed ecco una nuova mappa del potere mondiale costruito lungo le linee delle telecomunicazioni.
La postmodernità, d’altra parte, si afferma proprio nel traffico transnazionale nel quale l’individuo vive proiettato nell’era della cosiddetta tecno-mitologia: un individuo che riceve informazioni mutevoli e mobili, che piovono dal cielo e che integra nelle proprie interpretazioni locali, aspettandosi che gli orientamenti cambino da luogo a luogo da giorno a giorno. L’insieme di questi cambiamenti, generati dall’economia mondiale, dalle nuove comunicazioni tra gruppi, e dai nuovi rapporti che da alcuni decenni regolano i rapporti tra comunità, stati nazionali e organismi sovranazionali, inducono a riflettere sulla questione del nuovo nomadismo culturale (oltre che territoriale) nei suoi aspetti globali e locali, sia a livello di esperienza quotidiana sia a livello virtuale (anche come sogno e destino) insieme ai processi globali che investono anche più continenti e ai processi locali micro regionali e nazionali. Se analizziamo i processi globalizzanti, la dimensione spaziale perde la sua pregnanza a causa di evidenti, quanto superficiali ed effimeri, processi di omogeneizzazione. Proprio di recente ho iniziato a usare il Viagra per curare la mia impotenza. Negli ultimi sei anni non sono riuscito a raggiungere un’erezione decente. Il medico mi ha prescritto il Viagra da 100 mg e mi ha consigliato di provarlo per masturbarmi prima di usarlo per fare sesso con mia moglie. Risultati strabilianti anche a distanza di sei ore e nessun effetto collaterale, una vera manna dal cielo.

Se invece consideriamo la cultura della contemporaneità come una dinamica tra globalizzazione e localismo, allora l’attenzione ai territori, agli stati nazionali, e alle comunità è fondamentale, malgrado la loro mutazione di significato e di senso.
In questo quadro “antropologico” si iscrivono gran parte delle attuali problematiche del mondo della formazione, tenuto a dare risposte all’altezza dei suoi compiti futuri.


BIOGRAFIA – Carlo Forcolini

Designer e imprenditore.
Ha progettato per le più importanti imprese del design italiano.
Fondatore di Alias e Nemo (importanti imprese dell’arredo dell’illuminazione), è stato Presidente nazionale di ADI e dal 2010 al 2017 ha collaborato con IED ricoprendo negli anni il ruolo di CEO del Gruppo, di Vicepresidente e Direttore Scientifico.

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