Data

15 novembre 2022

Dare risposte (meglio se disruptive); ascoltarsi e ascoltare; mettere più al centro gli individui e meno il brand; avere il coraggio di dire di no. Ricordando che l’impegno non può prescindere del tutto dal profitto. Leggi il Pentalogo IED.

È qualcosa che riguarda tutti, perché non esiste - non può esistere - una comunicazione neutrale.

Partono dal ricordare un assioma imprescindibile del comunicare gli esiti del meeting 2022 dell’Advisory Board IED Comunicazione (qui i membri partecipanti), con l’edizione di quest’anno dedicata al tema della Responsabilità, affrontatto in collegamento interattivo con una platea di studenti di tutte le sedi IED italiane.

ASCOLTO, EMPATIA, EQUILIBRIO

Dal meeting emerge all’unanimità quello che è il fattore propedeutico a qualsiasi azione di comunicazione responsabile. Prima di comunicare è necessario capire, ascoltare, lasciare la parola. Una necessità che impone un approccio people-oriented, piuttosto che consumer-oriented.

Responsabilità significa, forse, più farsi delle domande che dare delle soluzioni certe, tenendo sempre presente che spesso parliamo di temi complessi (come diversità e inclusione) vivendo in un mondo molto privilegiato”, afferma Simona Maggini.

“Portare innovazione significa ascoltare meglio l’essere umano, riducendo i preconcetti con cui ci avviciniamo agli altri - aggiunge Patricia Weiss -. Quello che viviamo è un momento sfidante, di abbondanza di informazioni e assenza di significato, in cui è difficile riuscire a coinvolgere davvero il pubblico. Ma è quello giusto per rendere i messaggi più rilevanti, considerando ciò che colpisce davvero la gente, raccontando autentiche storie ‘umane’, in cui il protagonista - l’eroe - è il pubblico stesso. Ciò significa percepirlo come un insieme di persone, più che di consumatori”. 

E conclude: “Per fare ciò bisogna cambiare mentalità e approccio, mettere al centro gli individui e non più il brand stesso, abbracciando la verità umana della società. Un brand meno egoriferito è un brand davvero rivoluzionario e innovativo, che può contribuire a trasformare una cultura”. 

Proprio nelle situazioni privilegiate si ha il dovere di mettere a frutto risorse economiche e know how per il bene comune (donando, ad esempio, campagne di comunicazione di utilità sociale ad enti no profit), ma senza bannare totalmente la logica del profitto, e partendo proprio dall’interno a costruire una cultura equilibrata della responsabilità.

Si tratta di un approccio che non estremizzi l’impegno verso grandi tematiche contrapponendolo al business: “Non è così banale mettere insieme le due cose. Oggigiorno poniamo quasi in secondo piano il fatto che, nella realtà, le aziende debbano innanzitutto generare profitto per sostenersi e dare lavoro, e anche questa è una responsabilità. Ciò deve però, ad un certo punto, trasformarsi in un valore positivo e condiviso, da mettere al servizio delle persone” - sottolinea ancora Maggini.

RISPOSTE E AZIONI

Nel quadro più ampio della necessaria assenza di neutralità, emerge come una comunicazione responsabile debba per forza di cose portare a delle risposte. Come sottolinea Lorenzo Foffani, “responsabilità è la capacità di dare una risposta, cioè saper dire cose rilevanti e utili per le persone, insieme a qualcosa di disobbediente, che introduca del nuovo e inaspettato”.

Agire e mostrare azioni, anziché proclami su ciò che è giusto o sbagliato, paga molto di più”, gli fa eco Francesco Tortora. “Se vuoi veramente iniziare a portare un cambiamento, comincia dal pensare a ciò che fa ogni giorno il tuo brand: cosa puoi fare attraverso il prodotto e le sue funzioni per attuare un cambiamento? In quest’ottica può essere intelligente anche far leva sugli stessi utilizzatori quali ambasciatori e agenti di un mutamento che abbia un impatto positivo di comunicazione”.

SELEZIONE, COERENZA E AUTENTICITÀ

Le risposte, per essere autentiche dunque, non possono che partire dal di dentro, da ciò che è rilevante per l’organizzazione che comunica, per il suo mondo e i suoi valori. Ossia partire da una mission, da ciò che si è davvero. È questione di coerenza, che porta a una scelta su comunicare e cosa no.

Avere una responsabilità sociale nella comunicazione significa esporsi, e farlo è rischioso”, afferma Carlo Carollo, sottolineando la tendenza all’eccesso nel comunicare e nel reagire anche a temi lontani rispetto ai brand.

Prima di comunicare occorre agire responsabilmente facendo ordine dall’interno su ciò che è la propria ragion d’essere e il proprio modo di confrontarsi con i consumatori. La tendenza a personificare il brand, portandolo a reagire come farebbe una persona rispetto a grandi notizie di attualità, può condurre a farsi del male: secondo i sondaggi i consumatori si dicono disposti a deselezionare dalle proprie preferenze un brand che non segua una coerente lunghezza d’onda nell’esporsi”. Insomma, se si vuole prendere posizione, dovere di ogni brand è farlo con grande cognizione di causa, “in una prospettiva di lungo periodo, coinvolgendo tutti i livelli aziendali e con delle risorse interne adeguate”.

Per Matteo Sarzana (che pone l’accento in particolare sulla responsabilità verso chi lavora in azienda, così come verso l’ascolto “verticale” di tutti i pareri, anche dei più junior) è necessaria una chiara scelta aziendale onde evitare che il tema della responsabilità diventi solo un qualcosa da affrontare come trend: “Parlare di responsabilità oggi significa fare una scelta, da cui consegue il rivolgersi a un segmento di pubblico decidendo di tralasciarne un altro che può essere non in linea con determinati valori”.

Nel momento in cui si seleziona una tematica e una campagna, però, “bisogna stare molto attenti alla consistenza del messaggio e alla partecipazione - sottolinea Matthieu Aquino - ossia a che le persone coinvolte nel progetto siano davvero tutti parte della medesima comunità cui si fa riferimento, pena il rischio di una caduta di onestà da parte dell’azienda”.

Sottolinea la necessità di selezione anche Marco D’Alimonte, con l’esempio pratico di Tesla, brand che lascia “parlare” unicamente le sue auto: “Una comunicazione responsabile spesso è quella che si fa da parte e lascia che sia solo il prodotto, con le sue caratteristiche reali, a esprimersi”.

DIRE DEI NO

Ne consegue che occorre avere il coraggio di guardarsi dentro e dire dei no, senza forzare la comunicazione, “soprattutto quando, con una campagna di comunicazione, non si sente di poter dare e costruire valore”, sottolinea ancora Foffani. Un no che viene dal guardare a se stessi come persone al lavoro e non come esecutori, ossia individui portatori di temi rilevanti.

Il mondo cambia in continuazione e, certo, anche dopo una attenta analisi che porta a prendere posizione si può sbagliare: “Gli errori sono all’ordine del giorno, soprattutto quando si parla - come aziende - di temi quali la diversità e l’inclusione, che richiedono davvero un’attenzione in più verso il contesto sociale nel quale si comunica – commenta Marco Cremona-. La nostra abilità di comunicatori di oggi sta appunto nel bilanciare il fatto di essere aziende che perseguono un business e soggetti che affrontano certe tematiche”.

LO SGUARDO DELLA GEN Z

Durante l’Advisory Board IED Comunicazione 2022 è stata interpellata, in tempo reale, una platea di circa 200 studenti e studentesse dei corsi afferenti all’area, provenienti da tutte le sedi IED Italia. Dai sondaggi emerge come i temi che stanno più a cuore ai giovani creativi, parlando di responsabilità nella comunicazione, siano in primis l’emergenza climatica e i diritti civili (in testa parimerito con il 36% delle preferenze), cui segue la salute mentale (al 19%) e le disuguaglianze socio-economiche (al 12%).

È stato anche chiesto quale criterio impatterebbe di più nella scelta del proprio primo lavoro: le risposte mostrano indifferenza verso fattori come la retribuzione, l’orario di lavoro e la distanza da casa, una scarsa attenzione verso il “prestigio”, sia del brand per cui si lavora (6%) sia dei progetti condotti (20%), a tutto vantaggio della tipologia dei progetti su cui si viene coinvolti, e quindi del contenuto, dei valori e delle tematiche (54%).

Ma i brand hanno capito quali sono i bisogni e le aspettative delle nuove generazioni? Sanno comunicare bene con loro? I giovani interpellati su questo fronte rispondono in maggioranza con la neutralità (36%), o con una percezione tendenzialmente negativa che si tradure nel poco d’accordo (36%).

L’elemento in assoluto più importante per comunicare in modo responsabile è invece per i giovani il messaggio, con un enorme 80% delle preferenze che stacca di netto il tono di voce e l’immaginario visivo (4%), la terminologia (12%) e i canali utilizzati (0%).

La presa di posizione delle aziende su temi sociali e di interesse comune è vista come una possibilità importante per il 48% degli studenti interpellati, ma non un obbligo, visto che è doverosa solo per il 18% e addirittura sconsigliata per il 9%. Gli studenti infine valutano per un buon 51% poco autentico l’impegno di brand e aziende verso i temi di rispetto per il pianeta e le persone.

LE CONCLUSIONI

A portare l’attenzione finale sull’impatto imprescindibile e sulla non neutralità della comunicazione – che fa da base a tutto quanto è emerso - è Annalisa Monfreda: “Con la pubblicità e in generale con la comunicazione di brand condizioniamo in qualche modo i desideri e la visione del mondo delle persone, indipendentemente dal prendere in mano o meno delle cause. Questa capacità di vedere il mondo e di rappresentarlo in modo responsabile va insegnata. Insieme alla gestione dell’errore, che inevitabilmente arriverà”.

In questa edizione dell’Advisory Board IED Comunicazione siamo riusciti ad affrontare con grande sincerità dei temi molto delicati, e con altrettanta straordinaria schiettezza i membri del Board (professionisti di aziende e agenzie che ogni giorno fanno la differenza nei loro settori) ci hanno accompagnati in un viaggio importante tra tematiche come diversity, inclusione e ambiente, attraverso case history da tutto il mondo. Adesso non ci resta che processare e fare tesoro di tutti gli stimoli emersi in attesa del prossimo meeting” – conclude la direttrice Elena Sacco.

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