Data

15 giugno 2016

Elena Caponi: Dal cinema all'editoria, la passione per la scenografia che ha dato forma al suo carattere instancabile.

Video pubblicitari e pellicole cinematografiche hanno formato il mio carattere instancabile nel realizzare, collaborare ed eseguire nuovi progetti in ambito scenografico. Poi è nata la passione per i set fotografici.

Elena Caponi, stylist, scenografa, blogger con Invasioni [Pervasioni] e ancora consulente creativa, art director. Come ti definisci?

È la risposta che non ho mai saputo dare ai miei genitori da quando ho iniziato questo lavoro.
Le porte per nuove definizioni sono sempre aperte, ormai non sono più solo Io, ma sono Elena Caponi Studio, all’interno del quale ci sono due figure fondamentali, Simona e Paola, per lo sviluppo dei progetti su cui lavoriamo. Negli ultimi anni la parte più importante è proprio quella della consulenza creativa rivolta prevalentemente ad aziende di design, per le quali ci occupiamo del concept dell’immagine sviluppato nell’ambito fotografico come cataloghi o ADV e nell’ambito espositivo, come fiere e showroom. Capita ancora di fare qualche set per i servizi fotografici di moda e l’anno scorso sono tornata a fare le scenografie di un film, insieme a un vecchio compagno di squadra degli anni Ottanta, Ernesto Mameli. Oltre a tutto ciò, circa un anno fa, dopo anni di riflessioni, ho pensato che avrei dovuto avere un mio blog. Il mio rapporto con l’editoria è purtroppo sempre più discontinuo, io però ho ancora voglia di comunicare e condividere quello che ritengo bello, interessante, curioso. Così è nato Invasioni [Pervasioni], un blog che tratta argomenti inerenti a design, architettura, arte, food e altro; è un bel sacrificio che però ci tiene allenate e sveglie su tutto ciò che succede in giro per il mondo o quasi.

Qual è la tua formazione?

La mia formazione è tutt’ora in atto. Per stare al passo delle evoluzioni continuo a introdurre nuove sfaccettature a quello che è stato il mio primo approccio quasi 30 anni fa, come assistente scenografa e “trovarobe”. Altro che “stylist” o “art-buyer”. La verità era che, oltre alla costruzione del set, dovevi “trovare le robe” per arredarlo. All’epoca la cosa più importante era avere in macchina il doppio volume delle Pagine Gialle Lavoro e un sacco di monete per fare le telefonate dalle cabine telefoniche, così da spostarsi da un posto all’altro in velocità, sperando che il prossimo avesse le cose giuste da noleggiare. Il lavoro è sempre stato frenetico, si faceva negli stessi tempi di oggi, ma senza le comodità di mail o cellulari, era bellissimo, non mandavi neanche i fax per le richieste, telefonavi e bastava la tua parola. Le aziende avevano i magazzini pieni, andavo con la macchina e dopo aver avuto l’ok dal Padrun, sceglievo le cose con i magazzinieri, erano loro le nostre PR: “Ciao Giovanni mi dai 2 poltrone che devo girare un Vecchia Romagna etichetta nera?” . . . arrivavo sul set e nel frattempo il regista aveva cambiato idea, voleva un divano (mica c’erano gli sms) e allora sì che correvi a cambiare le poltrone, altro che oggi…
Ho iniziato appunto come assistente di una scenografa molto famosa all’epoca e già di una certa età e pure molto severa, che mi ha veramente formato. Con lei si lavorava tutti i giorni, festivi compresi, tutto l’anno, non rifiutava nulla. E poi negli anni Ottanta di lavoro in pubblicità ce n’era da scoppiare. I miei primi anni mi hanno vista impegnata proprio negli spot pubblicitari, poi ho fatto diversi film, finché per sbaglio non ho sostituito una collega su un set fotografico e da quel giorno ho capito che era quello il mio mondo, meno persone, meno comandanti, più qualità in quello che fai, più rispetto, insomma per il mio ruolo non c’era paragone. Dai primi set fotografici semplici, le richieste diventavano sempre più complesse, soprattutto con quello che è stato il mio più grande cliente, il brand La Perla, con tutti i suoi marchi. A me e al fotografo affidavano scenografie sempre più complesse, che spesso risolvevo con l’aiuto di un raffinato scenografo svedese, nonché carissimo amico, Henrik Widenheim.
Un’altra bella formazione, direi quasi indispensabile per certi versi, è stata la collaborazione con le testate del settore del design, dove ho collaborato per più di dieci anni, con Elle Decor, Case da Abitare, Casaviva, Living. Ma il mio impegno sempre più importante con le aziende e la crisi dell’editoria, hanno fatto sì che questo rapporto si riducesse sempre più.

Lavori in ambiti diversi, dall’editoria al cinema, da lavori più commerciali a mostre culturali. Come si cambia di fronte a clienti così eterogenei?

L’approccio è identico e anche lo schema, direi che cambiano solo i budget e i tempi. Un redazionale ha pochissimo budget, ma dà visibilità, si fotografa in massimo 3 giorni, mentre la preparazione può durare anche un mese; un film è molto più lungo e c’è anche più budget, mentre i progetti per le aziende sono lavori che si svolgono di mese in mese, proiettati nell’arco di una stagione o di un anno.

Quanto conta l’immagine oggi e come incide nella percezione del brand?

L’immagine è il fulcro di tutto in questo lavoro, non si può ignorarla. Il problema è che purtroppo molte aziende simili finiscono per aver la stessa immagine, soprattutto nel mondo del design. Per capire quanto incide un’immagine nella percezione del brand, basta coprire il marchio e vedere se si riconosce il brand, sono certa che tutti saprebbero riconoscere Dolce e Gabbana da Prada, piuttosto che Armani o Diesel e così via, poi subentrano tutte le dinamiche del marketing, di cui onestamente ignoro il reale significato, ma mi sembra una frase ad hoc.

Un esempio concreto del tuo lavoro, a libera scelta e particolare affetto.

Arriva un lavoro, ovvero una richiesta per realizzare un progetto, lo accetti, ma prima devi preparare un preventivo, sia per il tuo compenso che per la realizzazione del progetto. Fatto ciò, si esamina più in profondità l’azienda – la sua immagine, il suo pubblico – tante analisi, finché si inizia a lavorare al concept; prepari una presentazione, a volte l’aggiusti un po’ ma va bene, da qui inizia la ricerca e tutta l’organizzazione per raccogliere e preparare il materiale scenografico necessario a realizzare il set, o lo stand o lo showroom. Spesso le cose non arrivano nei tempi giusti, altre volte arrivano rotte, comunque alla fine, per la data stabilita, il miracolo avviene! Ma il miracolo vero è far tornare tutto come prima, tutto al punto zero, tutte le cose restituite integre, i muri smontati, il nulla e avanti il prossimo. Io sono affezionata a quasi tutti i miei lavori, quelli brutti li ho dimenticati.

Un suggerimento a chi si affaccia ora al mondo del lavoro?

Curiosità, disponibilità, caparbietà, volontà e, soprattutto, non pensare di arrivare subito all’obiettivo finale. E fatevi pagare, anche poco, anche solo le spese, altrimenti vi sentireste frustrati e finireste per odiare quel lavoro.


BIOGRAFIA – Diletta Toniolo

Diletta Toniolo ha da sempre coltivato la passione per il design che oggi insegna in corsi di storia e in laboratori di ricerca sulle tendenze contemporanee e promuove tramite l’attività giornalistica – collaborazioni tra gli altri con bOx International Trade, Domus, Bravacasa, Arketipo, Ottagono, il Mattino, Sky Alice, 24 Ore Television, Radio 24 – e la curatela di mostre ed eventi.

Dal 2001 collabora con IED come docente: ha tenuto corsi di Fenomenologia delle Arti Contemporanee, Storia del Design, Salone Experience, Interior e Product Design, oltre a diversi workshop. Da qualche anno è IED Ambassador, portando l’esperienza e la professionalità IED in giro per il mondo.

Tra le sue varie pubblicazioni: il libro Capolavori del design italiano, La storia del design italiano attraverso l’opera dei suoi progettisti, Edizioni White Star a cura di design.doc, oltre a collaborare come editor per la free press Tortona Around Design Journal durante la settimana del design milanese.

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